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Un passo alla volta.

Correva il centesimo giorno P.C. (Post Collocamento) e mentre ti guardavo affranta, sdraiato per sul pavimento, arrabbiato, ho capito che la luna di miele era definitivamente finita. Andata. Sepolta.
Non posso certo dire di essere rimasto stupita. Sapevo che questo momento sarebbe prima o poi arrivato. Ma è un po’ come l’appuntamento con l’influenza stagionale… Sai che arriverà, ma sotto sotto ti crogioli nella speranza di scamparla… e quando inizi a sentire i primi dolorini e il naso che cola ti illudi che sia semplicemente un raffreddore. Ma ovviamente così non è.
E mi ritrovo quindi a pensare con nostalgia alle prime settimane, quando mi dicevi che non avevi mai mangiato un risotto più buono del mio, quando Ti arrabbiavi con i tuoi nuovi fratelli perché si comportavano male con me “che sono così gentile”, quando mi dicevi che poter fare il bagno in vasca era la cosa più bella della vita…
Ti guardo, sei ancora sul pavimento, ma controlli ogni mia mossa… Ti chiedo se vuoi parlare. No, non vuoi. Abbiamo passato la mattina a lottare per fare i compiti, perché nessuno ti ha mai insegnato a farli, sei arrabbiato perché da un lato vorresti migliorare, dall’altro vorresti tornare alla vita di prima dove nessuno ti controllava e potevi fare quello che vuoi. Sei arrabbiato perché qui ci sono delle regole. Sei arrabbiato con la tua malattia. Sei arrabbiato con i tuoi genitori. 
Per tirarti su di morale, ti chiedo se vuoi pranzare con un bel piatto di risotto. Quello che hai detto che mangeresti tutti i giorni.
Dovevo aspettarmelo… Ti lamenti che non lo vuoi. 
Mi arrabbio.
Poi penso che dentro quel riso c’è tutto quanto. C’è la tua Africa, la tua tradizione, c’è il riso che ti preparava la mamma. O che non ti preparava. C’è la rabbia verso un gesto di cura che doveva arrivare da qualcun altro e non da me.
Anche se la luna di miele è ufficialmente finita, ti sento un po’ più figlio.
 E aspetto la sera per rimboccarti le coperte e darti il bacino della buonanotte.

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