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Grazie Bambolì...

Caro Bambolì,

ascolto il tuo respiro tranquillo, mentre dormi sul mio petto.

La casa, in genere piena dei tuoi urletti, delle tue risate, della tua voce, è adesso silenziosa.

Hai stravolto il significato che davo a molte parole, prime tra tutte...silenzio e disordine!

Ma anche “tempo”.

Non riesco a credere che sia passata solo una manciata di settimane da quando, incredula e felicissima, mi sono trovata su un treno, insieme a te e a mio marito, il mio eroe, il mio compagno di vita e di avventure che adesso... è anche il tuo papà.

Ricordo come se fosse adesso quell’istante in cui il mio sguardo e il tuo si sono incrociati.

La nostra storia è iniziata con la voce dolce di una ragazza bruna, la tua educatrice: “Signora, lo do a voi?”

Ricordo la sensazione che tu ti sia incastrato perfettamente tra le mie braccia. E ricordo anche la voce nella mia testa, che con inesorabile fermezza strillava che quel mucchietto di parole che raccontavano la tua condizione sanitaria, raccontavano anche tutta la fatica che affrontavi e ancora avresti dovuto affrontare.

I problemi ci sono, le difficoltà pure, i limiti anche.

Niente violini suonati dal vento; Carmen Consoli era in ferie. Solo una fifa blu, perché mi sono subito resa conto di come il tuo piccolo corpo portasse i segni del tuo inizio turbolento.

Ho avuto paura, tesoro, e non mi vergognerò mai di questo.

Ho avuto paura, ma subito dentro di me è stato chiaro che volevo essere al tuo fianco in questa strada ripida che ti aspetta.

Voglio essere acqua per quando il sole picchierà, ombra dove fermarti a riposare. Voglio darti la mano, quando la pendenza ti sembrerà troppa.

Ma voglio essere anche un prato morbido dove fare le capriole, una farfalla da rincorrere, il volo degli uccelli da osservare, mille stelle da contare, morbide nuvole dalle forme stravaganti da

interpretare.

Qualche volta penso a tutta la strada che hai fatto completamente da solo, e mi sento in colpa.

Ho ricordato le parole di una Mamma Matta “Quando mio figlio è nato, aveva bisogno di me e io non c’ero”.

Mi sento arrivata a festa finita, amore mio, dopo che sei stato accolto, amato, accompagnato, da tante persone che hanno fatto del loro lavoro il senso della loro vita, che hanno permesso che si accendesse quella luce nei tuoi occhioni castani. E a me sembra solo di beneficiare di quello sguardo luminoso, di non esserci stata per aiutare ad accendere quella luce.

Tanti mi dicono che crescerai con noi, che dimenticherai quello che è successo all’inizio della tua vita. Ma quell’inizio difficile fa parte di te, mia piccola peste, non si può cancellare.

Non saresti più tu senza. E’ una parte di te, e io la amo, come amo i tuoi occhi luminosi, la tua risata contagiosa, la tua vivacità, la tua affabilità.

Ho imparato a vivere sentimenti contrastanti, a essere felicissima ma esausta, piena di riconoscenza e frustrata, a passare dalle lacrime alle risate con una velocità da Hussain Bolt.

Molti sono i momenti difficili, in cui non capisco cosa devo fare, molti quelli in cui mi sento sopraffatta dalle troppe a cose a cui pensare, moltissimi quelli in cui mi chiedo se sto facendo

abbastanza, se ti sto dando abbastanza, se sono abbastanza.

Tantissimi sono i momenti in cui la gratitudine rischia di soffocarmi. Quando ti addormenti in braccio, quando fai una piccola cosa che ieri non facevi. La prima volta che mi hai messo le tue

piccole braccia intorno al collo, in un tenerissimo tentativo di abbraccio, il tuo sorriso nel vedermi entrare in una stanza.

Ce la metto tutta, ma soprattutto mi lascio aiutare. Ricordo la telefonata in lacrime con un’altra mamma adottiva, e ricordo il clic che ha fatto la mia testa, parlando con lei.

Come dicono le Mamme Matte, “da soli non si può”.

Caro Bambolbì, ti prometto che ti racconterò delle lacrime sulla strada del rientro dalla casa famiglia, e degli occhi a cuore di tuo padre.

Ti vedo crescere e cambiare, spostare ogni giorno il tuo limite un po’ più in là.

Ti sto vicino imparando da te e con te, facendo errori e studiando la difficile arte del perdonarmi, continuando a mettermi in discussione e inventando sempre nuovi modi per crescere anche io, insieme a te.

Osservo estasiata la tua inarrestabile voglia di vivere e di fare, e capisco sempre più profondamente la tua terapista che ti definiva “un’anima rara”.

 

Grazie, Bambolbì, perché di tutte le cose assurde e irrealistiche che cerco di essere e di fare, mi insegni ogni giorno a essere fedele alla più importante e spontanea di tutte: essere la tua mamma.

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