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Affido Ponte. Opportunità per il minore o scorciatoia per adottare? Stranezze, dolore ed eventi poco chiari.

di Rossana Villari - Referente M'aMa sezione Calabria
In questi giorni stiamo parlando tanto di affidamento familiare dei neonati, detto anche a "affido ponte".
È un affido urgente e di breve durata. Questo tipo di provvedimento interviene per fornire al neonato un buon attaccamento (teoria dell'attaccamento J.Bowlby) nelle prime fasi di crescita, per poi essere accompagnato gradualmente nella famiglia adottiva.
Per questo è importante che le famiglie che accolgono siano adeguatamente formate e preparate dai servizi sul senso del progetto, cioè quello di lasciare andare e accompagnare il neonato nella sua nuova famiglia.
Abbiamo accolto queste testimonianza, non siamo giudicanti, non lo siamo mai soprattutto davanti a tanta sofferenza.
Cristina ci racconta:
Il bene supremo è e quello del minore e noi ci auguriamo che i servizi supportino questa coppia e la aiutino a ritrovarsi.
"Sono Cristina (nome di fantasia) con mio marito abbiamo intrapreso il percorso adottivo dieci anni fa. Durante tutto questo tempo non siamo mai stati chiamati dal tribunale o da un servizio sociale. Così ci siamo iscritti a diverse associazioni, fino ad appoggiarsi ad un avvocato.
E tramite lui 5 mesi fa arriva la chiamata che aspettavamo da tempo...il cuore è balzato in petto
«signora c'è un neonato di 4 mesi deve andare in famiglia con un progetto di pronta accoglienza oggi stesso vi rendete disponibili?».
Eravamo entrambi a casa, ho chiesto nell'immediatezza a mio marito e fu subito sì.
Siamo saliti in macchina, il cuore di entrambi esplodeva nel petto, i dubbi erano tanti ma l'emozione aveva preso il sopravvento. Arrivati in comunità mi hanno messo il bambino in braccio. Non ho capito più nulla, mi sono appoggiata al petto di mio marito e ho avvertito tutta la sua emozione. Mi hanno detto «il bambino è sano e come potete vedere bellissimo. La mamma è deceduta e il papà non può prendersene cura. Non può rimanere in comunità perché è piccolo e non c'è nessuna rete parentale che può accudirlo. Voi siete la famiglia giusta».
FAMIGLIA, niente di più, soltanto famiglia e tanta speranza.
Prima di rientrare a casa ci siamo fermati a prendere tutto il necessario per il bambino: vestiti, culla, carrozzina e tanto tanto altro. Ci domandavamo «E se dovrà andare?» «Beh regaliamo tutto». Ma sapevamo già che sarebbe stata dura.
I mesi passavano e Carlo (nome di fantasia) aveva iniziato la lallazione e anche a chiamarci mamma e papà.
Quel piccolo esserino ci aveva fatto capire cosa significava essere famiglia e tenere tra le braccia tuo figlio, perché per noi ormai lo era diventato. Presentammo istanza di adozione per poterlo adottare... del resto eravamo coppia adottiva.
A distanza di un mese circa arriva la chiamata che non ci aspettavamo più, Carlo che era con noi da 13 mesi, sarebbe dovuto andare via. L'assistente sociale mi comunicava che il tribunale con un provvedimento d'urgenza nella stessa giornata doveva portare il bambino in una comunità perché per lui era stata scelta una famiglia adottiva.
Mi sentì svenire, la testa mi faceva male, avevo le orecchie tappate, le gambe mi tremavano. «Ma com'è possibile? Ci siamo resi disponibili, non potete così senza preavviso, sarà un dolore per tutti. Carlo, Carlo come vivrà il distacco da noi, così senza prepararlo?».
Niente di quello che dicevo serviva a nulla.
L' assistente sociale mi ripeteva «Signora il giudice ha già deciso, lo sapevate che erano affido momentaneo e non adozione». Sì è vero, lo sapevamo, ma al cuore non si comanda. Chiamai subito mio marito e avvertì il suo dolore e gli chiesi di fare qualcosa, di non farlo andare via. Arrivò a casa, aveva gli occhi lucidi e aveva pianto da solo per non ferirmi. Ma io ero già ferita, non capivo niente, il cuore mi era stato strappato dal petto. Avevo avvertito lo stesso dolore soltanto quando persi mia mamma.
Non ci siamo detti e nulla.
Mio marito ha stretto Carlo in un lungo abbraccio, come se volesse scolpirlo sulla pelle quel tenero corpino, mentre lui si era aggrappato al suo collo sorridendo e chiamandolo papà. Si girò verso di me e disse: « Andiamo, ci aspettano». Mi sono seduta dietro, tenendo Carlo in braccio. Come avrei fatto senza di lui? Arrivati dei servizi sociali da vigliacca chiesi a mio marito di portarlo lui e di non farmi scendere. Ovviamente mio marito prese in braccio Carlo e lo portò dentro. Io iniziai un pianto interminabile e inconsolabile. Dopo pochi minuti vedo uscire mio marito con le spalle curve.... camminava a testa bassa. Sapevo che provava il mio stesso dolore ma come potevamo ricucirci? Come saremmo andati avanti adesso che sapevamo cosa significava avere un figlio? Sono passati due mesi da quando Carlo è andato via, non sappiamo niente di lui e i servizi non si sono più fatti sentire. Noi non siamo più gli stessi: non ci sono le passeggiate al parco, le risate, non c'è niente. Noi non ci siamo più. Potete giudicarmi, potete...tanto non mi fate niente, sono vuota".
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Sabrina ci racconta:
Sono passati 24 gg da quando di notte e come i ladri, mi hanno convocato presso uno studio legale per informarmi che dovevo consegnare un pacco, la "mia" bambina in affido.
Stessa modalità e procedura della signora del post. Peccato che noi non sapevamo di essere ponte. Una bambina di 9 mesi, tenuta per 4 mesi. Lo stesso studio legale che mi rassicurava davanti alle mie richieste; l'età. Uno delle due legali si era proposta per il battesimo della piccola. Attirati nella rete, spolpati emotivamente da chi se ne è fottuto altissimamente della bambina e di noi. Illusi dalle belle parole. Per poi sentirci dire: gli affidi sono così. Vomitevole. Resta solo un dolore sordo e tanta, tantissima rabbia perché siamo stati violentati emotivamente... A saperlo prima, avremmo detto grazie, no!

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