Quando ho conosciuto la mia figlia affidataria e i miei figli, ho imparato che non sai mai esattamente quello che può succedere... quindi meglio essere preparati alle situazioni 'peggiori' perché
non sempre i diversi attori coinvolti nell'adozione o nell'affido si parlano, non sempre raccontano ogni cosa, a volte perchè, semplicemente, non le sanno.
Così, puoi trovarti ad affrontare la storia di una ragazza abusata gravemente, con tutte le conseguenze del caso. Accogliere una quasi 18enne che ha 15 anni sotto alcuni aspetti, 90 sotto altri e
2 sotto altri ancora.
Una cucciola di neanche 18 anni con due figlie piccole, sola e arrabbiata con il mondo.
E allora quello che salva è non essere soli.
Io ho avuto la fortuna di essere all'interno di una coppia solida, in un affido di una giovanissima mamma e le sue bambine, ho dovuto sperimentare che non potevo contare sui servizi (spariti),
sulle nostre famiglie (che per senso di protezione nei confronti miei e del mio compagno avrebbero voluto che li riportassimo in comunità), all'epoca neppure su una rete di famiglie che non
c'era.
Affidi di bambini, ne conoscevo, ma come il nostro nessuno...
Eravamo una coppia (io soprattutto) affamata di genitorialità, quindi tu (servizi) vai a mettere una mamma di neanche 18 anni, giovanissima, arrabbiatissima, con le sue bimbe di due anni anni,
carinw, dolci, affettuosissime, in una coppia che non può avere figli e li desidera tanto, 35 anni lei, 38 lui, lui a Roma per lavoro da lunedì a venerdì... se uno doveva immaginare la
situazione meno adatta, meglio non la poteva immaginare ,.
Siamo sopravvissuti tutti e cinque perché non potevamo fare altrimenti, immagino... Tante volte mi hanno detto, molla, magari tieniti le gemelle, e io che nei momenti peggiori l'avrei sparata,
l'adolescente aggressiva che picchiava le piccoline e si chiudeva in camera, guardavo quella bimba (perché era una bimba... ferita, abusata, abbandonata, rabbiosa, offensiva) e pensavo che
non c'èra nessun altro posto dove sarebbe potuta andare. Le ho detto che se non voleva le gemelle, la capivo, e l'avrei accompagnata a fare la rinuncia al tribunale il giorno dopo, ma non le
avrei mai prese io. Avrebbe trovato la fila di famiglie, tanto, piccole buone e sane erano.
Ma io non volevo essere la sua sostituta.
Mi ha messo davanti a tutti i miei limiti, le mie insicurezze e, da sola non avrei retto.
Eppure siamo sopravvissuti.
E grazie a lei ho imparato sulla maternità ado/affidataria più che in venti corsi di formazione, mi ha fatto un corso accelerato.... e mi ha permesso di imparare ad accogliere quella che poi
sarebbe diventata la mia prima figlia adottiva, Giada.
Giada, quando è arrivata, a 4 anni, aveva la stessa fiducia nel mondo di Angela, che di anni ne aveva ormai 18. E io ero convinta di essere più pronta, ma davanti al suo rifiuto, alla sua rabbia,
alla sua paura, ho capito di dover ricominciare da capo.
Posso dire che sono sempre stata io a buttarmi a capofitto, ma il marito, perplesso all'inizio, è stato poi l'elemento di equilibrio, perché non ha mai avuto paura o quantomeno non l'ha mai fatta
percepire. Ha fatto da muro, solido, per i momenti di crisi miei, o dei ragazzi. Sdrammatizzando quello che sembrava catastrofico, visto che a differenza mia si lascia scorrere addosso le
cose...probabilmente io sono stata la persona più difficile per lui con cui avere a che fare e me lo dice pure, l'unica che riesca a mandare in crisi lui . Questo sostegno mi ha dato una forza che
non credevo di avere. Quando in famiglia guardavano mia figlia come una bomba (in)esplosa, io ci stavo malissimo, perché amo i miei genitori e per me sono stati fondamentali, ma ho capito che la
mamma di mia figlia, aggressiva verbalmente e fisicamente, ero io, loro poi avrebbero potuto imparare ad accettarla e ad amarla, ma questo non doveva incidere sul fatto che la famiglia eravamo
noi tre, io marito e figlia. E basta. Se ce l'eravamo cavata con due anni di affido, saremmo sopravvissuti a una bimba meravigliosa che è diventata figlia nel profondo del cuore, che è fiorita
mostrandosi per la meraviglia che è.
Alla fine, come faccio a sapere che significa, per una bimba di tre anni, stare per mesi immobilizzata a letto senza nessuno che la intrattenesse, salvo un soffitto bianco? Una bimba
maltrattata in istituto perché il suo carattere non le permetteva di cedere e si ribellava, lei con una disabilità grave, ai comportamenti degli adulti, rivestendosi di una corazza dura come il
ferro per sopravvivere? Eppure conservando nel cuore una immensa capacità di amore e di tenerezza, senso dell'umorismo, gioia di vivere.
Quando abbiamo deciso di accogliere Luca, aveva tre anni lui , ormai nove lei, mi hanno detto che lei era troppo aggressiva per un fratellino. Ma il fratellino si è dimostrato tosto al
punto giusto. L'avevo messa in guardia sul possibile rifiuto, sulla paura, ecc. Avevo tanto timore che potesse essere lei a sentirsi rifiutata dal nuovo piccino, o gelosa. Accogliere quando si
hanno già figli è più complesso, perché hai l'istinto di proteggere il cucciolo che già c'è e rischi di dimenticare le esigenze di quello che deve arrivare. Con il suo bagaglio, il suo bisogno
speciale, unico. Luca comunque contro tutte le nostre aspettative è stato tranquillissimo... pure troppo. Un bambino di tre anni così ipercontrollato da far paura, per scatenare una rabbia
che evidentemente non voleva mostrare si chiudeva in una stanza e dava di matto (mai in pubblico). Poteva rifiutare un gelato al cioccolato per non darti soddisfazione, con la sorella che lo
guardava mooolto perplessa (un gelato si prende sempre!). Buttare dalla finestra i giocattoli preferiti se gli dicevi che per punizione non ci avrebbe giocato per un po' e quando poi
la sorella lo provocava troppo...apriti cielo, una forza distruttiva senza pari, che scagliava tutto ciò che aveva a portata di mano, denti compresi, sul "nemico" ma al di fuori
educatissimo, compito, geniale a scuola, insomma tutti i nonni facevano la fila... e io ci sono stata male pure per quello, che Giada non la potevo lasciare visto che vaffanc... era la sua
modalità di interazione più gentile
Giada e Luca sono diventati fratelli così profondamente da stupirmi. Per la loro complicità intensa, anche nei guai da combinare. Fratelli come non avrei sperato di vederli diventare. Capaci di
fare squadra, quando sarebbe stato tanto più facile per lei detestarlo (bravo a scuola, amato da tutti, carismatico, coccolone)... invece hanno imparato ad amarsi dicendosene di tutti i colori.
Se psicologi o assistenti sociali avessero ascoltato i loro scambi, forse sarebbero svenuti ma ho capito che era così perché avevano imparato a fidarsi l'uno dell'altra e di noi. La fiducia, la
mancanza di paura reciproca, sono le basi per amarsi. E soprattutto il non avere fretta di provare sentimenti. Perché arrivano, altroché, ma non subito, non c'è un colpo di fulmine, ci possono
volere mesi e anni a diventare famiglia. Ma il tempo ci vuole, darsi il tempo di diventarlo... sapere che è (anche) doloroso diventare famiglia adottiva, perché devi farti entrare dentro figli
fino ad allora estranei e loro devono far entrare dentro come genitori altri estranei, e diventare fratelli con altri estranei.
E fa male.
È bellissimo ma fa male, come tutte le cose belle. Fa male a lungo. Non si può accelerare il travaglio, anche se immagino che chiunque lo vorrebbe. Ma quello è. Più breve, più lungo.
Quello è e non si può scappare.
Con il terzo figlio, ho sperimentato di nuovo questa 'gravidanza al contrario', dove bisogna entrarsi dentro, fare spazio per accogliere ed essere accolti. E prepararsi alle
'sorprese' perché
dai disponibilità a un bimbo di otto anni... ma poi scopri che è alto quanto te... E se hai già un figlio coetaneo inizi a sudare, in più scopri pian piano che la disabilità è il minore dei suoi
problemi, che ha ferito operatori in casa famiglia, che a scuola scaraventa direttamente il banco sul malcapitato di turno, perché, oltretutto, è alto e grosso per la sua età..... però
scopri anche che è sensibile, affamato d'amore e pieno di paura. Tre anni fa mi pareva così grande, quando l'ho conosciuto... mentre se adesso riguardo le foto di allora, ha una faccina di bimbo
con un sorriso stentato, incerto e bello. Bello, sì.
Te lo trovi davanti, questo bimbone che non suscita la tenerezza del cucciolo, perché pesa quasi quanto te ed è alto poco di meno; non è 'carino', e tantomeno coccoloso, anche se le coccole a
modo suo le cerca; e pensi, no, non è facile farlo entrare dentro. Ma lui è qui. È un bambino e vuole disperatamente essere figlio. Ha già vissuto l'abbandono di una madre e il fallimento di un
tentativo di adozione, che gli ha portato via un fratello, ossia tutta la famiglia che gli restava. So che se non ce la facessimo, più che ferirlo ammazzeremmo in lui quel brandello di fiducia in
sè e nel mondo che ancora, a stento conserva. E scopriamo che lo spazio... c'è, che ogni giorno lui entra un pochino di più dentro ognuno di noi, facendoci anche male, e facendosene lui. Ma
è anche una sensazione di pienezza, e una volta iniziato non puoi farne a meno, interrompere, un po' come il travaglio fisico del parto che non ho mai vissuto.
Con l'adozione di Marco, avere due altri figli tosti è essenziale. Un fratellino piccolo che lo guida in famiglia, perché hanno gli stessi gusti e una grande fantasia, e la loro età in comune da
rischio diventa opportunità. A m manca il fratellino che la vita ha allontanato da lui, ma questa vita bastarda gliene ha dato un altro. E un'altra sorella più grande, che lo contiene e gli fa
capire che non ha paura di lui, semmai il contrario , che mi dice 'io lo so come si sente', però ammette che all'inizio non prova per lui il sentimento fraterno
che ha verso il piccolo. Le dico che è normale, che arriverà. Giorno per giorno, senza spaventarsi se non succede velocemente come si vorrebbe. Purché si abbia la certezza che succederà. E lui lo
sente, a pelle, e si fida, e aspetta anche lui.
Marco è un paio di occhi pieni di ombre e paure e un sorriso pieno di luce. È nascondere i coltelli perché non è il caso di scoprire fin dove arriva quando ne prende uno in mano, Marco
sono abbracci improvvisi e collere che finiscono in un pianto liberatorio. Marco è la paura che possa picchiare i compagni e la tenerezza per i gatti che adora. Perché da piccino una gatta gli ha
fatto da mamma quando la sua spariva.
Marco oggi è fratello e figlio nel profondo, come gli altri due.
Per sempre.
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