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Diario di Bordo

Claudio ed io ci siamo trovati da “maturi”.....dopo tante esperienze, dopo aver sofferto, dopo aver sbagliato, dopo tante avventure anche positive ma sicuramente affettivamente instabili se non rovinose.

Ci siamo innamorati dopo i 40.......ed abbiamo provato quello che non avevamo mai provato: avere qualcuno con cui condividere un progetto d'amore......una vita insieme, e perchè no, una famiglia.

E per due come noi, un figlio insieme, essere genitori insieme, sarebbe stata certo una gran bella cosa.

Io avevo già due meravigliosi figli grandi, ma uno anche con Claudio sarebbe stato così bello......certo l'orologio biologico la sua la vuol dire, non abbiamo provato, ma certo non saremmo stati genitori giovani.

Così Claudio ha proposto di crescere insieme un bimbo che già c'era, che già esisteva, andava solo cercato......

Ed allora ecco il primo colloquio al Centro Affidi di Firenze.

E dopo il primo il secondo.....e poi altri.

Ad un certo punto è stato il momento di dare la disponibilità: si riempie una scheda, si danno delle preferenze, si dichiara quello a cui non potremmo dire si. Come si fa? Come si fa a dire no ad un bimbo disabile, ad uno musulmano, ad uno di 11 anni o ad uno di 15?

Oggi, otto anni dopo, dico: certo che si deve fare, si deve fare un profondo esame di coscienza, si deve cercare il proprio limite ipotetico. Allora pensavamo che l'amore avrebbe potuto tutto, mi sono ribellata, non

siamo al supermercato, come facciamo a dire si o no a quello o a quell'altro?

Ma abbiamo dovuto e malvolentieri abbiamo riempito quella scheda......

Ed è arrivato D., 8 anni, bruttino, sempre sudato, iperattivo e congelato allo stesso tempo.

Avevo già due figli quasi ventenni, ero già mamma, sapevo come si allevano i bambini.

Ma quel bambino era diverso, faceva una gran tenerezza, ma era diverso.

Da una parte era sperduto, era piccolo, era spaventato e bloccato.

Dall'altra era strano, diceva e faceva cose che erano da interpretare, osservavamo situazioni e racconti indecifrabili. E quando gli davo la mano per la strada, avevo un senso di fastidio, non era un bambino che chiedeva la mano all'adulto perchè aveva paura, qualcosa non tornava.....

Allora mi sono colpevolizzata all'infinito, ecco, siccome non era un figlio biologico, non avevo quel trasporto, non avevo quel senso di protezione e accoglienza che avevo avuto con i miei.

Eppure era certo che lo volessi proteggere e che lo vedevo così indifeso e particolare.

Anni dopo abbiamo scoperto che quella mano era molto sessualizzata per le esperienze che aveva vissuto con i genitori naturali e che quindi non ero io a fare differenza tra un figlio naturale ed uno in affido, D. aveva interiorizzato una modalità di toccare molto diversa da quella dei bambini cresciuti in ambienti più sani.

Questo bimbo ha rivoluzionato la nostra vita: abbiamo riorganizzato quotidiano, casa, orari, in base alle numerose esigenze di David. Quantunque fosse stato con noi, noi avremmo fatto di tutto per dargli il maggior numero possibile di strumenti per allinearsi con i suoi coetanei e soprattutto quell'amore che lo

avrebbe tranquillizzato e gli avrebbe permesso di crescere sereno.

Questo era il nostro progetto. Questo è quello che pensavamo.

Ma i bambini in affidamento sono dei libri da leggere, dei fiori da sbocciare, dei misteri da svelare.

E così, dopo esserci occupati della parte fisica (oculista, dentista, ortopedico) esageratamente più facile, abbiamo iniziato ad intuire la parte emotiva, quel pezzo di vita iniziale così ferito, terrorizzato e trascurato

che tanti danni aveva fatto su di lui, sul suo sviluppo, sulla sua personalità.

Ma nessuno te lo spiega, nessuno lo conosce, men che meno il bambino stesso.

Viene fuori piano piano, via via che il bimbo si tranquillizza, può iniziare a ricordare, raccontare, elaborare,

tutta una serie di esperienze che ha vissuto, che ha nascosto in posti così segreti che nemmeno lui conosce,

con la speranza che non uscissero mai più e che quelle sensazioni provate scomparissero per sempre. E certe paure, certe reazioni, certe stranezze, sono solo la punta di un iceberg che sta nel profondo dell'anima e che, a seconda del carattere e delle esperienze vissute, può uscire, rimanere laggiù, cancellare, o emergere, spaventare, irrompere, sconvolgere.

Tutto può essere.

D. ci ha messo alcuni anni per tranquillizzarsi, nel primo periodo era quasi.....perfetto!

Sembrava finto: ubbidiente, non piangeva mai, non manifestava né paura né disagio, era collaborativo e alle regole. Così noi lo avremmo tenuto.

Così non sarebbe tornato in comunità e nemmeno in famiglia. Queste erano le sue paure.

Quando faceva qualcosa che sapeva non essere giusto, la cancellava dalla mente, così la poteva raccontare adducendola ad un altro oppure negare essere mai stata fatta.

Ma nessuno può essere un attore a vita, nessuno può diventare per sempre ciò che la mente ritiene essere più giusto. Ognuno deve fare i conti con la propria storia, col proprio vissuto, con le esperienze e le ferite che lasciano.

Così, quando i bambini si tranquillizzano, quando la paura lascia il posto alla fiducia, piano piano possono mollare, cedere.....e si crepa quel muro di autodifesa messo su da tanti anni e che funzionava così bene, preservava da una realtà insopportabile.

E comincia ad uscire di tutto: paure, traumi, brutte abitudini, ricordi amari, solitudini, abbandoni, delusioni, vergogne.......

Come si gestisce tutta questa roba? Il bambino di solito ne è travolto: insonnia, rabbia, frustrazione, alimentazione incontrollata, somatizzazioni, aggressività, un turbamento generale scatenato magari da un no del genitore affidatario.......

E gli affidatari? Intanto ci vuole un buon psicologo da cui farsi aiutare: non siamo professionisti, siamo di buona volontà, e le reazioni che i bambini portano talvolta sono violente, o incomprensibili, o così dolorose da volerne scappare lontano.

Ammetto che Claudio ed io eravamo impreparati, soprattutto eravamo vissuti e invecchiati senza mai prendere contatto con la parte più povera e marginale dell'umanità, che è ovunque, non solo al telegiornale, non solo nei paesi poveri, è anche qui in Italia, dove il benessere, la salute, la cultura sembrano regnare.

Anche qui in Italia vuol dire nel nostro palazzo, nella casa accanto, ci sono situazioni gravi di degrado, di ignoranza, di malattia, dove i bambini crescono nella trascuratezza, se non nella violenza, situazioni talvolta di tale portata che ammetto, non solo non avevamo incontrato, ma neanche creduto possibile. E qui c'è stato

da superare il primo nostro grande limite, un bel paraocchi dovuto alla nostra vita molto regolare e poco.....nel mondo vero!

Così abbiamo fatto i conti con la realtà che è emersa poco a poco dal “nostro” bambino e che è stata per lui

molto traumatica, molto spaventosa, e molto ben presente in lui, è cresciuto in quella storia e nel bene e nel male ne ha imparato e assorbito sia le brutte abitudini, sia gli stratagemmi di sopravvivenza.

Siamo stati insieme tanti anni, la famiglia biologica non ha recuperato e non è stata in grado di riprenderlo.

Com'è finita questa nostra storia insieme?

Abbiamo passato gli ultimi anni in cui il “nostro” bambino è diventato un ragazzo, un bel ragazzo, tutte le nostre cure ne hanno fatto un giovane sano, bello, pulito, educato. Ed anche consapevole dei suoi punti di forza e soprattutto dell'amore che nutriamo per lui.

Ma dentro di lui è in atto una battaglia, forse addirittura una guerra.

Se è vero che amore e dedizione possono tanto, non è vero che possono tutto.

Non cancellano le cose brutte della vita, la storia è quella, con quei genitori biologici e quei primi anni insieme.

I genitori affidatari possono dare strumenti. Strumenti per combattere i propri fantasmi, strumenti per ri-educarsi, per ri-pensarsi, per modificare meccanismi perversi che hanno attanagliato la mente ed il cuore.

Sperare di essere nati dagli affidatari e di essere sempre stati nella nuova famiglia più regolare, più calda, non annulla niente di quanto hanno passato.

C'è da fare un lungo e difficile lavoro di accettazione della propria storia e di scelta fra le cose da tenere e quelle da buttare: e quelle da buttare sono difficili da buttare, perchè sono incastrate bene nel loro io, sono

state inserite i primissimi anni quando i bambini introiettano le loro basi.

Così la vera grande battaglia è loro, dei bambini/ragazzi in affidamento, è personale, è difficile, è paurosa.

Lasciare il vecchio per il nuovo. Accettare il vecchio e costruire il nuovo. Sì, ci sono due vite, un prima ed un dopo, una nella quale sei venuto al mondo ed una nella quale vuoi stare al mondo. Questa è forse la più grande difficoltà ed anche il motivo maggiore di rabbia: ma non potevo essere direttamente nato da voi?

Sarebbe stato tutto più facile. Certo che sarebbe potuto succedere, ma non è andata così.

 

Daniela e Claudio

Firenze

Tratto dal libro "Diario di bordo" del centro affidi di Firenze

 

 

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